Mar 15

L’antimafia nelle scuole, dal liceo di Oristano il riscatto delle periferie.

“Ecco, sono loro”. Il liceo Salvatore Angelo De Castro è nato nell’ottocento.  Dall’unità d’Italia si sono formate qui tutte le generazioni della classe dirigente di Oristano, piccola città capoluogo di 31mila abitanti nella Sardegna che guarda la Spagna. Un cortile-posteggio, un accenno di palme.

La palestra è ancora deserta quando il preside Pino Tilocca mi presenta quattro professoresse gentili e mi racconta il lavoro e le meraviglie dei suoi studenti. “Ne abbiamo uno”, confida con orgoglio, “che scrive per il Corriere della Sera”. Sobbalzo. “L’edizione online, ci ha scritto più volte. Pensi che ha quindici anni”. Davanti allo stupore crescente, precisa: “Davvero. Interviste importanti, racconti. Sono studenti bravi, sa? Il giornale della scuola ha una bella redazione. Credo che la intervisteranno”.

Mentre la palestra si riempie in placida armonia, sbuca dal fondo un piccolo gruppetto. “Sono loro”, appunto: il cuore della redazione. Due ragazzi senza alcun tratto distintivo e una ragazzina piccola e minuta, felicemente irrobustita da un eskimo e una borsa a tracolla. Li seguo incuriosito con lo sguardo, li vedo accomodarsi verso la metà delle file. Uno accanto all’altro, bloc notes, telefonino o altro per registrare. Nell’aria monta subito qualcosa di speciale. Chi ha un po’ di esperienza avverte aleggiare come una aristocrazia delle menti. Che sta negli sguardi, nei silenzi, nell’intelligenza delle cose rimandata a chi parla. Roba rara, frutto -non c’è dubbio- di un lavoro lungo, profondo. Una rapida comunicazione di servizio sugli ospiti che arriveranno nelle settimane future lo conferma. Per fervore di impegni la cittadina sembra davvero una capitale scolastica.

La stessa insegnante che conduce, Sabrina Sanna, non azzecca nemmeno per sbaglio una domanda o un’osservazione banale. Sulla stessa linea le domande che arrivano dai ragazzi. Di fronte ai quali diventa perfino spontaneo schiudere pezzi della propria vita. Come sono piacevolmente lontane le assemblee pullulanti di cellulari in azione o di innocenze ridanciane. “Abbiamo selezionato le classi”, ha d’altronde spiegato il preside, “se non si è studiato sul serio l’argomento non si partecipa, non è uno spettacolo, è un momento formativo”. Musica per chi lo dice da decenni.

Alla fine mi raggiungono i tre giovanissimi redattori. Sono tutti di quinta ginnasio (quinta A, puntualizzano). Quello di loro con la felpa blu, Riccardo, mi ha in realtà già fatto una domanda a tu per tu: “Ma lo Stato vuole sul serio sconfiggere la mafia? Sa, perché uno pensa a Giolitti, che nel Sud le lasciò mano libera per conservare i suoi equilibri nazionali; oppure al rapporto della mafia con gli Alleati dopo lo sbarco in Sicilia; e si chiede se la mafia sia considerata davvero una minaccia”. Giolitti? Gli Alleati? Ma che ne sa, chi glielo ha detto?

Riccardo il quindicenne parla con padronanza di nomi e fatti che uno studente universitario maneggia a malapena. Mentre Eleonora, la studentessa minuta, sorride timida, ecco Alessio il prodigio. E’ lui che da Oristano scrive sul “Corriere”. Roba da far schiattare di invidia eserciti di aspiranti corrispondenti in tutta Italia. Il fare rispettoso, una giacca a vento amaranto, i capelli corti come una volta, ossia né rasati né scolpiti (e anche questo è in fondo un segno di aristocrazia delle menti), mi spiega il loro lavoro. E con molta ritrosia anche il suo. Ha scritto per la Pearson a tredici anni, dice, gli è sempre piaciuto scrivere. E’ stato notato sul sito scuola.net, fa articoli sul mondo della scuola, interviste, racconti di vita quotidiana, le celebri prove Invalsi, anche un articolo di scienze sull’anidride carbonica. Il giornalino della scuola si chiama “Eulogos”. Vorrei sapere di più da lui, vorrei essere io a intervistarlo, ma lui si imbarazza, svicola, mi chiede se voglio rileggere le mie frasi del mattino prima che ne pubblichino la cronaca. Poi se ne vanno insieme come sono venuti.

Il preside, che li conosce tutti, spiega che Alessio vive fuori Oristano. A Terralba, diecimila abitanti. Arriva ogni giorno in pullman, come pure Eleonora. Eccola dunque, l’Italia con le sue periferie che si trasformano inaspettatamente in nuove capitali. Quando me ne vado, il preside mi fa una previsione: “Lo vuol sapere? Qui vinceranno ovunque i Cinque Stelle”. Non chiedo che cosa voterà lui, anche se dietro la scrivania tiene in vista una foto e una frase di Gramsci, il grande conterraneo. Ma non sembra preoccupato. Dice che è una previsione facile. La cultura e l’antimafia continueranno a fare la loro strada”. (Nando Dalla Chiesa, docente universitario, scrittore, politico; da www.nandodallachiesa.it e il Fatto Quotidiano).

“Ci risiamo già. A dieci giorni dal voto spunta la prospettiva di una “legislatura costituente” che “segni la svolta della storia repubblicana”.  Il progetto è evidente: riportare le lancette dell’orologio politico a prima del 4 dicembre 2016: “E’ un grave errore politico pensare che la vittoria del No al referendum abbia voluto dire che le riforme non si faranno mai più. I motivi di quel No sono vari: chi era contrario nel merito, chi dava una valutazione politica, chi era contro Renzi. Ma una classe dirigente non può concepire di lasciare irrisolti i nodi di un sistema che non funziona, oggi più di prima”. Sono parole di una intervista rilasciata al “Corriere della Sera” da Dario Franceschini, che come ministro per i rapporti con il Parlamento del governo Letta firmò la riforma costituzionale che coincideva in grandissima parte con quella poi firmata dalla sua successora nel governo Renzi, Maria Elena Boschi. E ora ci risiamo: si torna a proporre l’abolizione di una camera e una legge elettorale che assicuri la “governabilità”. Non la revisione di un singolo punto, come previsto dall’articolo 138, ma una riforma così estesa da far chiamare (con una bestemmia istituzionale e politica) “costituente” questa legislatura. Una legislatura costituente avviata attraverso una legge elettorale palesemente incostituzionale come il Rosatellum: un capolavoro. Il revanscismo di Franceschini, e di un intero ceto politico ormai del tutto delegittimato, era largamente prevedibile. Il 29 dicembre scorso ho scritto su “il Fatto Quatidiano”: “E se nel prossimo Parlamento non riuscirà a formarsi una maggioranza, si creeranno le condizioni ideali per chi vorrà riprovare ad inalberare la bandiera equivoca della governabilità, additando nel parlamentarismo della Costituzione la causa di tutti i mali. Se aggiungiamo a questo dato di lunga durata l’intramontabile funzione delle riforme costituzionali come arma di distrazione di massa (utilissima a distogliere l’attenzione collettiva da povertà, disoccupazione, erosione dei diritti, corruzione politica) non si può escludere che un nuovo Nazareno nasca proprio su un nuovo accordo per l’ennesimo stravolgimento della Carta”. Non occorreva avere lo spirito profetico di Cassandra per conoscere la coazione a ripetere dei politicanti che hanno preso in ostaggio la res publica. Libertà e Giustizia si rivolge oggi ai Comitati del No, e a tutte le associazioni e le forze sociali che hanno fermato la riforma Renzi-Boschi: è l’ora di riprendere la lotta. E si rivolge alle forze parlamentari che si erano schierate contro quella riforma, a partire da quella più grande, il Movimento 5 Stelle: non vi prestate a questo gioco truccato che punta a ridurre lo spazio della democrazia e a salvare la più cinica e sgangherata nomenclatura della nostra storia politica. Settant’anni fa, intervenendo in Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 – subito dopo il voto finale di approvazione della Carta – il presidente del Consiglio dei ministri, Alcide De Gasperi, pronunciò parole terribilmente chiare per il suo, e per i successivi esecutivi della Repubblica: “Il Governo ora, fatta la Costituzione, ha l’obbligo di attuarla e di farla applicare: ne prendiamo solenne impegno”. Noi crediamo che quell’impegno sia sempre valido, e anzi urgente”. (Tomaso Montanari, presidente di Libertà e Giustizia).

“Dopo mesi di polemiche anche aspre, sulla proposta di legge regionale relativa alla gestione del territorio sardo, presentata dall’amministrazione regionale, finalmente il presidente della Regione autonoma della Sardegna, Francesco Pigliaru, aveva dichiarato pubblicamente (ottobre 2017) che si sarebbe aperta una fase di “dibattito collettivo”.  Disponibilità ribadita dall’assessore regionale dell’Urbanistica, Cristiano Erriu (gennaio 2018). Siamo a metà marzo 2018 e l’assessore Erriu ancora parla di critiche a vanvera degli ambientalisti, e di disponibilità al confronto in una lunga intervista di Luca Rojch a La Nuova Sardegna (“Urbanistica, ok al dialogo ma la legge va approvata”, 13 marzo 2018). Tutto questo è molto bello, ma un po’ annoia. Un fatto è certo, la deliberazione della giunta regionale n.14/4 del 16 marzo 2017 di approvazione del disegno di legge “Disciplina generale per il governo del territorio” afferma testualmente: “il disegno di legge sarà … pubblicato in una apposita sezione del sito istituzionale e aperto alle osservazioni di tutti gli attori coinvolti sui temi della pianificazione territoriale e paesaggistica: parti  istituzionali, parti economiche e sociali, università, ordini professionali, organismi in rappresentanza della società civile, associazioni ambientali, soggetti portatori degli interessi e delle volontà dei territori”. Secondo gli intendimenti espressi dalla giunta Pigliaru, si sarebbe dovuto svolgere un “processo di partecipazione attiva degli attori coinvolti sui temi della pianificazione territoriale e paesaggistica”. In realtà, non c’è stato nulla di tutto questo. Anzi, spesso e volentieri ci sono stati pesanti attacchi da parte di esponenti della giunta contro chi osava dissentire e denunciare i gravissimi rischi per l’ambiente e, in particolare, le coste. Finora il “dibattito civile, serio, sereno, tecnico e anche giustamente appassionato” auspicato dal presidente Pigliaru non s’è visto. Rimangono, così, tutte le critiche espresse, in particolare (ma non solo) in riferimento agli aumenti volumetrici “a pioggia” anche nella fascia costiera e nella fascia di massima tutela dei metri 300 dalla battigia marina, alla possibilità di reiterare aumenti volumetrici per le strutture ricettive che ne avevano già beneficiato in precedenza (art. 31, commi 6° e 7° del disegno di legge regionale) nonchè all’Allegato A – art. A4, che ammette, in fascia costiera, il “riciclaggio” con aumenti volumetrici di “seconde case” (anche ancora non realizzate!) in esercizi alberghieri e alla possibilità di deroga continua a leggi e pianificazione paesaggistica in presenza di proposte di ritenuta eccezionale importanza sul piano economico-sociale (art. 43 del disegno di legge regionale). Ce ne sarebbe abbastanza per stravolgere definitivamente qualsiasi normativa di tutela costiera e il Piano paesaggistico regionale (Ppr) tuttora da estendere all’intero territorio regionale. Altro che “due articoli su 100”, come afferma l’assessore Erriu. La giunta Pigliaru vuole voltare pagina e iniziare concretamente un reale processo che coinvolga seriamente i cittadini sardi oltre che i soliti portatori d’interesse immobiliari? Bene. Lo faccia. Sarebbe ora”. (Gruppo d’Intervento Giuridico onlus)

“Restituiamo il giusto decoro e la dovuta dignità alla piazza Aldo Moro, ripristinando le targhe in onore dell’onorevole Moro e degli uomini della sua scorta”. Lo ha scritto, in una mozione urgente, il consigliere comunale di Oristano Giuseppe Puddu (Udc), in occasione del quarantennale dall’uccisione di Moro e dei cinque uomini della scorta da parte delle Brigate Rosse. Nella mozione Puddu ha ricordato che in occasione del 38esimo anniversario del tragico episodio, la figlia dello statista, Agnese Moro, ha incontrato al liceo classico di Oristano l’ex brigatista Andrea Coi, per fare una riflessione sull’accaduto. Al termine di quell’incontro-testimonianza, l’allora sindaco di Oristano, Guido Tendas, e Agnese Moro hanno scoperto una targa nella piazza adiacente il liceo, già dedicata ad Aldo Moro. Targa che, ha scritto Puddu nella mozione, è ormai sparita da tempo. Per questo motivo, oltre a condannare l’accaduto, Giuseppe Puddu ha chiesto al sindaco e alla giunta di attivarsi per ripristinare, prima delle ricorrenza della morte di Aldo Moro, il 9 maggio, la targa ricordo in memoria di Moro e degli uomini della scorta, e la targa d’indicazione di intitolazione della piazza perimetrale al Tribunale di Oristano, nonché di restituire il giusto decoro e la dovuta dignità a tutta l’area nei pressi del Tribunale.

Gioie e dolori della sanità pubblica: è in chiaroscuro l’offerta del servizio per le cure domiciliari sul territorio. Al di là dei numeri e delle percentuali, questo è in sintesi il risultato dell’indagine “Fuori dall’ospedale, dentro le mura domestiche” sui servizi sanitari e sociosanitari extraospedalieri, realizzata dalla sezione oristanese di Cittadinanzattiva-Tribunale del Malato, in collaborazione con l’Azienda sociosanitaria locale. In linea di massima, il giudizio sul servizio è sostanzialmente positivo. A dichiararsi insoddisfatto, ha spiegato la presidente di Cittadinanzattiva, Maria Grazia Fichicelli, è stato infatti solo il 22% del campione. L’elenco delle criticità messe in evidenza dalle risposte degli utenti tramite i questionari, però, è lungo. Scarsa attenzione alla misurazione del dolore e mancanza di informazioni ai familiari, carenza di istruzioni su prevenzione e gestione delle piaghe da decubito, carenza di supporto psicologico, scarsa disponibilità di medici specialistici, infermieri disponibili solo nei giorni feriali e solo dalle 7 alle 14, tanto per fare qualche esempio. Dito puntato anche sui tempi lunghi di attesa per i presidi sanitari e la necessità per tante famiglie di integrare a proprie spese le prestazioni fornite dal Servizio sanitario nazionale. L’attesa media denunciata dall’indagine per un materasso antidecubito, per esempio, è di oltre 30 giorni, così come per la carrozzina e il sollevatore. Più del 70% degli intervistati ha dovuto integrare a proprie spese (fino anche a mille euro al mese, per il 13%) le prestazioni fornite, non solo per ritardi o carenze nelle forniture ma anche per l’assistenza personale insufficiente.

Nel centro storico di Oristano e nelle strade limitrofe, i negozi di generi alimentari sono ormai quasi solo un ricordo del passato. In compenso sono aumentati in maniera esponenziale bar, ristoranti e attività ricettive. Gli oristanesi se ne erano già accorti da soli, ora però un’indagine nazionale condotta su 120 città (tra le quali Oristano) dall’Ufficio studi della Confcommercio lo certifica con numeri e percentuali. Il periodo di riferimento è il decennio che va dal 2008 al 2017, e i dati di Oristano non si discostano più di tanto da quelli nazionali. A livello nazionale infatti il calo delle attività di commercio al dettaglio in sede fissa nei centri storici è dell’11,9% mentre Oristano registra un calo del 9,3%, e assieme ai negozi di alimenti e bevande calano anche esercizi specializzati, di articoli per uso domestico e distributori di carburante. Sostanzialmente in linea con la media nazionale del 17% nazionali anche il dato relativo alla crescita di attività ricettive, bar e ristoranti. Nel centro storico oristenese il numero complessivo delle attività passa da 165 nel 2008 a 199 nel 2017. Limitatamente a bar e ristoranti si passa invece dai 156 esercii del 2008 ai 184 del 2017. In controtendenza invece il commercio ambulante: rispetto all’8,7% in Italia, a Oristano si registra un calo del 4,9%. “Cambiamenti naturali e conseguenti al mutamento delle abitudini sociali – ha osservato il presidente di Confcommercio Oristano, Nando Faedda –. Lavorare nel centro storico significa soffrire di più rispetto a chi sceglie un’area limitrofa, e il calo del 9,3% è negativo non solo per le imprese ma per tutti perché l’abbandono delle aree storiche da parte dei commercianti comporta minore vitalità e degrado”.

Gli agenti del reparto Annonario della Polizia locale del comune di Oristano hanno sequestrato 15 chili di asparagi venduti irregolarmente da tre ambulanti nel mercatino di via Aristana. I tre ambulanti, tutti stranieri, erano privi di regolare licenza. Gli agenti della Polizia locale, che sono impegnati in una serie di controlli contro le vendite irregolari e a tutela di chi invece osserva le norme sul commercio, hanno comminato ai tre ambulanti una sanzione amministrativa di 5 mila euro. Il quantitativo di asparagi è stato immediatamente donato alla Mensa della Carità delle figlie di San Giuseppe.

 

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