Lettera di minacce al sindaco di Cabras. Crack “L’Unità”: Soru (Pd) indagato per bancarotta.
Nuova intimidazione ai danni di un sindaco in Sardegna. A meno di 24 ore dalla notizia del proiettile recapitato in una busta al primo cittadino di Monserrato, sono arrivate minacce, insulti e calunnie in una lettera indirizzata al sindaco di Cabras, Cristiano Carrus.
All’interno della missiva un invito secco a seguire le indicazioni perentorie su un concorso bandito dalla amministrazione comunale. La lettera minatoria è stata recapitata, nei giorni scorsi, negli uffici del comune lagunare, ma è stato lo stesso primo cittadino a rendere noto, nella tarda serata di ieri, il grave atto intimidatorio, chiudendo i lavori dell’ultima seduta del consiglio comunale prima delle elezioni amministrative del 10 giugno. Sull’episodio sta già indagando la Digos.
Il crack della società che ha pubblicato il quotidiano “L’unità” dal 2008 al 2015 è nella lente della Procura di Roma che ha indagato l’eurodeputato del Pd, Renato Soru, per bancarotta fraudolenta aggravata. L’ex governatore della Sardegna e patron di Tiscali è accusato di aver trasferito azioni di sua proprietà, per un valore che sfiora i 3 milioni di euro, tra due società che in tempi diversi hanno controllato il giornale fondato da Antonio Gramsci, la Nuova iniziative editoriale (Nie) e la Nuova società editrice finanziaria (Nsef). Operazioni definite dal Pm “…prive di una valida ragione economica, utili solo ad alterare i bilanci e creare futuri crediti a suo favore”. L’avviso di conclusione delle indagini è stato notificato, nei giorni scorsi, anche ad altre undici persone che, in tempi diversi, hanno fatto parte del Cda della Nie spa. Soru ha poi confermato il suo coinvolgimento nell’indagine della Procura romana. “Ieri, a quasi un anno esatto dal giorno in cui sono stato assolto da un’altra accusa ingiusta – ha scritto Soru su facebook – sono venuto a sapere, per la prima volta, di essere stato indagato per una nuova vicenda. Ritengo di poter dimostrare facilmente la totale infondatezza dei fatti di cui sono stato accusato e, pertanto, chiederò di essere sentito al più presto possibile, affinché anche questa vicenda possa essere superata senza lasciare alcun dubbio sui miei comportamenti. All’epoca dei fatti contestati – ha aggiunto Soru – la mia partecipazione era scesa sotto il 5%. E, pertanto, diversamente da quanto sostiene l’accusa, senza alcuna possibilità di poter incidere nelle decisioni di gestione della società. In realtà, io non sono mai stato nel Cda e non ho mai svolto alcun ruolo. Nel 2008, controllando il capitale della società, avevo scelto gli amministratori. Tuttavia, come sarà facile appurare, io ho perso il controllo già nel 2012 con l’arrivo del nuovo azionista Mian, poi nel 2013 è arrivato un ulteriore azionista di controllo. Entrambi con importanti disponibilità finanziarie hanno gestito e finanziato la società con ulteriori consistenti aumenti di capitale. Ho sacrificato ingenti risorse finanziarie personali, contribuendo a salvare il giornale e continuando a farlo per alcuni anni – ha spiegato l’europarlamentare del Pd –. In tutto il periodo non ho mai assunto alcun ruolo operativo di gestione o di responsabilità amministrativa”. Anche per i legali di Renato Soru “…è certo che emergerà con chiarezza l’assoluta trasparenza e legittimità della sua condotta e, in tale prospettiva, chiederà quanto prima di poter essere sentito dagli inquirenti, onde poter fornire ogni utile contributo conoscitivo. Soru non ha mai assunto alcun ruolo gestorio in seno all’organo amministrativo, sin dall’acquisizione del giornale nel 2008, in stretta condivisione con il Partito Democratico, ma ha progressivamente diluito la sua quota di partecipazione all’interno della società editoriale, sino a dismettere definitivamente la qualità di socio di controllo nel 2012, con l’ingresso di nuovi e qualificati azionisti che hanno dato vita all’epoca a consistenti apporti di capitale”.
Numerose segnalazioni da parte degli insegnanti sullo spaccio di sostanze stupefacenti presso le scuole di Oristano hanno allertato gli agenti della Squadra Mobile di Oristano. Dopo indagini e appostamenti, i poliziotti hanno arrestato un 18enne, responsabile di una autentica centrale di vendita, con l’accusa di detenzione ai fini di spaccio di marijuana ed hashish. Il costante via vai di giovanissimi, per la maggior parte minorenni, presso una casa in via Foscolo, ha convinto gli agenti a effettuare una perquisizione. Sul tavolo della cucina del 18enne sono stati trovati circa 350 grammi di marijuana, 30 grammi di hashish di ottima qualità, bilancini, strumenti e materiali per la confezione delle dosi. L’arresto è stato poi convalidato dal Gip del Tribunale di Oristano
Il nuovo soggetto politico indipendentista “Caminera Noa” ha mosso i primi passi. I due portavoce, Giovanni Fara e Alessia Etzi, hanno presentato la bozza di manifesto approvata nel corso dell’assemblea plenaria di Bauladu. Tra i temi principali “i valori fondamentali dell’antirazzismo e antifascismo, dell’autodeterminazione nazionale e il diritto a decidere, della sostenibilità, della difesa ambientale e del superamento del sistema liberista e dell’economia capitalista”. Si tratta di un manifesto emendabile, come sottolineato dai due portavoce, tranne che nei pilastri che rappresentano gli elementi di sintesi e di unità del soggetto che si intende costruire dal basso, in maniera fortemente democratica, inclusiva e aperta. “Il percorso che stiamo pianificando insieme e in maniera condivisa – ha sottolineato Alessia Etzi – non solo si configura come una via nuova della politica, ma come un nuovo modo di vivere e di rispondere alle esigenze delle comunità e della nostra terra”. I portavoce potranno rimanere in carica per un periodo massimo di un anno. “Quello che vogliamo costruire non è un nuovo partito o una nuova sigla – ha ribadito Giovanni Fara – ma una rete politica, fatta di tutte le lotte e di tutti i progetti che stanno facendo fronte alla desertificazione coloniale della nostra terra. Un soggetto-progetto che unisca le forze civiche, i movimenti per i diritti civili, gli indipendentisti, i progressisti, gli anticapitalisti, che già sono presenti e operano in Sardegna”.
Ventisei anni dopo l’approvazione della legge che prevedeva la rimozione dell’amianto dagli edifici, solo il 2% delle strutture è stato bonificato. E il dato è per difetto, visto che alcune Regioni non hanno nemmeno completato le attività di censimento. È la fotografia scattata dall’ultimo rapporto “Liberi dall’amianto?”, realizzato da Legambiente e presentato in occasione della “Giornata mondiale delle vittime d’amianto”, che si celebra oggi. “Le procedure di bonifica e rimozione dall’amianto in Italia sono ancora in forte ritardo”, denuncia l’associazione ambientalista. E ci sono i numeri a dimostrarlo: sono 6.869 gli edifici pubblici e privati bonificati ad oggi, su un totale di 370mila nei quali ci sono tracce della fibra killer che l’Italia ha messo al bando nel 1992. Le strutture, all’interno delle quali ci sono quasi 58milioni di metri quadrati di coperture realizzate in eternit, sono in larga parte edifici privati (oltre 214mila) e coperture in cemento armato (quasi 66mila), ma anche 50.744 edifici pubblici risultano ancora a rischio. A fare da contraltare alle lentezze nelle procedure di bonifica e smaltimento ci sono gli ultimi dati Inail che scattano una fotografia drammatica dei danni causati dall’amianto tra il 1993 e il 2012. Nei primi vent’anni successivi alla legge che chiudeva l’era dell’eternit, in Italia sono stati 21.463 i casi di mesotelioma maligno, che hanno provocato oltre 6mila morti all’anno. Tra i territori più colpiti la Lombardia (4.215 casi rilevati), Piemonte (3.560) e Liguria (2.314), seguiti da Emilia Romagna (2.016), Veneto (1.743) e Toscana (1.311). Al Sud, la situazione peggiore si registra in Sicilia (1.141) e Campania (1.139). E una soluzione definitiva al problema sembra essere ancora lontana. Basti pensare che il Piano regionale per la rimozione di questo materiale, previsto dalla L.257/92, nel 2018 deve essere ancora approvato nel Lazio e nella Provincia Autonoma di Trento. Dovevano essere pubblicati, dice Legambiente, entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge. E la situazione non è stata monitorata dal dossier in Abruzzo, Calabria e Molise, che non hanno risposto all’associazione ambientalista. In Sicilia, denuncia ancora Legambiente, otto comuni su dieci si trovano senza Piano comunale, un passaggio essenziale per mappare il territorio e procedere alle bonifiche per contrastare le conseguenze dell’esposizione. Inoltre, in 9 Regioni il censimento non è ancora stato completato. Solo Campania, Emilia Romagna, Piemonte, Provincia autonoma di Trento, Valle d’Aosta hanno completato integralmente la verifica della presenza di amianto in tutti gli edifici, mentre nelle Marche la copertura è totale solo per le strutture pubbliche e le imprese. Ma, anche quando l’iter sarà completato e l’Italia inizierà davvero a dare seguito alle previsioni della legge approvata nel 1992, potrebbe presentarsi un nuovo problema: secondo Legambiente, non sono sufficienti gli impianti di smaltimento presenti e previsti sul territorio. Le Regioni dotate di almeno un impianto specifico per l’amianto sono solo 8, per un totale di 18 strutture: in Sardegna e Piemonte ce ne sono 4, tre in Lombardia e due in Basilicata ed Emilia Romagna. Uno solo l’impianto esistente in Friuli Venezia Giulia, Puglia e nella Provincia Autonoma di Bolzano. E già oggi, nonostante sia stato smaltito appena il 2% dell’amianto censito, avverte Legambiente, gli impianti sono quasi pieni. (www.ilfattoquotidiano.it).
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