Housing sociale di via Lepanto, una spada di Damocle sulla testa del Comune di Oristano.
Il fumo che, in piazza Eleonora, a Oristano, fuoriusciva dai palazzi degli Scolopi e Campus-Colonna ha allarmato più di un cittadino che, però, si è subito tranquillizzato quando ha appreso che non si trattava di un principio di incendio, ma dello sforzo causato nello spremere i cervelli da parte di neofiti e antichi frequentatori di quei palazzi.
Dopo le discussioni, senza capo né coda, al Comune di Oristano, causate dalla pubblicazione delle linee programmatiche, dimenticando che, da sempre, con queste si cerca di far passare per oro ciò che, invece, è solo vile metallo; mentre da parte di alcuni partiti della maggioranza si abbaia alla luna, spacciando per priorità l’assegnazione di incarichi a gogò, minacciando in caso contrario crisi e crisette, finendo per fare figure barbine; intanto che in giunta e tra i partiti della colazione destrorsa si continua a procedere in ordine sparso, senza che il sindaco riesca a fare da collante (copyright Tendas); mentre nel microcosmo di piazza Eleonora si continua a discutere di “quisquilie e pinzillacchere” e si arzigogola sui massimi sistemi, si sta procrastinando quella che, a nostro modesto avviso, costituisce la vera patata bollente di cui, prima o poi, il Comune di Oristano dovrà, comunque, necessariamente occuparsi, ovvero l’housing sociale di via Lepanto.
Della questione abbiamo già scritto varie volte, e riteniamo opportuno ritornare sull’argomento, stante la delicatezza della più che spinosa questione.
Non sappiamo se il pur sempre sorridente assessore all’Urbanistica, Ivano Cuccu, impegnato com’era negli ultimi tempi a salvare la poltrona, abbia trovato il tempo per studiare il problema. Quel che è certo, è che il Comune non sa come venirne fuori, soprattutto dopo che il Tar ha dato ragione al comitato dei cittadini di via Lepanto.
Comitato che, a più riprese, ha ribadito come, in estrema sintesi, fosse illecita la deroga a una costruzione in via Lepanto che superasse i 13 metri (altezza massima prevista dal Puc) per arrivare a costruire fino a 18 metri, cosi come, invece, era stato richiesto nel progetto presentato dai costruttori e approvato dall’Ufficio tecnico, senza che, udite udite, il consiglio comunale si sia mai espresso in proposito. L’approvazione da parte dell’Ufficio tecnico è stata poi dichiarata illegittima dal Tar, e questo fatto sta continuando a creare un autentico vespaio.
La società costruttrice, infatti, potrebbe dire: “Se ho presentato un progetto per arrivare a edificare fino a 18 metri, progetto che mi è stato approvato, e adesso mi si dice che non posso più farlo, chi mi paga i danni del mancato realizzo? Infatti, se non mi fosse stato consentito, in deroga, di arrivare fino ai 18 metri, non avrei partecipato al bando. Chi, quindi, mi deve risarcire? In questo caso la risposta è semplice: dovrebbe pagare chi ha firmato quella autorizzazione, quella deroga che il Tar, però, ha poi ritenuto illegittima.
La domanda che tutti si fanno è come si sia potuto autorizzare una deroga, ben sapendo che prima occorreva l’ok da parte del consiglio comunale. E’ infatti impossibile che l’Ufficio tecnico ignorasse questo passaggio. Allora perché lo ha fatto? Per improvviso rimbambimento? Oppure perché pressato dal costruttore o dalla parte politica? Tutte domande a cui bisognerebbe, comunque, rispondere, anche se prima che della questione se ne occupasse il Pm (ma non è detto che non lo faccia in seguito), per il momento ci ha pensato il Tar.
Ma la faccenda non finisce qui, perché chi si è aggiudicato l’appalto potrebbe, detto in soldoni, mettersi d’accordo per costruire fino ai consentiti 13 metri e chiedere al Comune altre aree per costruire la parte non realizzata in via Lepanto. O, addirittura, chiedere che il consiglio comunale si pronunci su una eventuale sanatoria, giustificando la costruzione fino ai 18 metri come utile perché di reale interesse pubblico (chiaramente tutto da dimostrare).
A questo punto, però, sorgerebbero ulteriori problemi, perché in questo caso l’amministrazione comunale si metterebbe contro i residenti di via Lepanto, che hanno già detto a chiare lettere come una costruzione di 18 metri nella zona non s’ha da fare (e il Tar, come detto, ha dato loro ragione), con tutto ciò che questo in termini di consensi comporta.
Secondariamente (ma la cosa non è affatto secondaria), come reagirebbero coloro a cui la deroga è stata negata? Mi viene in mente, per esempio, la vicenda legata all’ex Hotel Cama, dove (sempre detto sinteticamente), dopo aver cambiato destinazione d’uso e trasformato l’hotel in appartamenti, sarebbero stati costruiti due piani oltre il consentito (così come ha deciso con sentenza passata in giudicato la Cassazione), e che sarebbero, quindi, da demolire.
Facile a dirsi, ma come si può demolire una parte del quarto e tutto il quinto piano senza compromettere la staticità del palazzo, dove nei tre piani costruiti e acquistati in maniera lecita vivono attualmente una quindicina di famiglie?
Per sanare la questione il costruttore aveva proposto di “tombare” (chiudere, sigillare) il quarto e quinto piano, in modo tale da non recare un danno ai proprietari degli appartamenti sottostanti, ma i giudici avevano rigettato la proposta.
In questo caso, se il Comune dovesse concedere la deroga per via Lepanto, perché non potrebbe concederla anche all’ex Hotel Cama, acquisendo i due piani ritenuti abusivi e sfruttandoli per pubblica utilità?
La domanda, però, come si suol dire, sorge spontanea: a chi dovrebbe rivolgersi il Comune per acquisire per pubblica utilità i piani che la Cassazione ha, definitivamente, ordinato di abbattere? Qual è il giudice competente? Bisogna chiedere una revisione del processo o che altro?
Le ipotesi potrebbero essere tante, ma non essendo un tecnico, né un giurista, non sono in grado di sostenere la reale fattibilità di quanto appena affermato.
Come ultima postilla, un avviso ai naviganti: in vicende delicate come queste bisogna sempre procedere con i piedi di piombo, considerato che, oltre ai Pm, anche la Corte dei Conti è sempre in agguato.
Detto questo, riuscirà il Comune a spostare la spada di Damocle che pende sulla sua testa?
Ivan Spanu, operaio di 47 anni, di Cabras, fratello di Nicola Spanu, il musicista deceduto 15 giorni fa in un incidente stradale sulla Torre Grande – Rimedio, è morto nel tardo pomeriggio di oggi, sulla provinciale tra Barumini e Tuili, dopo aver partecipato a un motoraduno. Il 47enne è uscito fuori strada, andando a sbattere con la sua Kavasaki contro il guard rail. Ivan Spanu è stato subito soccorso dagli altri motociclisti e poi dal personale sanitario dell’elisoccorso del 118, ma per lo sfortunato motociclista non c’è stato niente da fare. La morte di Ivan Spanu ha creato grande cordoglio e sconcerto a Cabras, per la sfortuna che si è accanita contro una famiglia ben voluta da tutti.
Nelle ultime 24 ore, a Oristano, si sono registrati 16 nuovi contagi e nessuna guarigione dal Covid.
Il totale dei casi rilevati fino a questo momento sale a 11.243, i pazienti guariti sono 10.993, i casi attualmente positivi 180, e i decessi 64.
In Sardegna i nuovi casi confermati di positività al Covid sono 471 (di cui 442 diagnosticati con tampone antigenico). Sono stati processati in totale, fra molecolari e antigenici, 2.644 tamponi.
I pazienti ricoverati in terapia intensiva sono 5 (come ieri), quelli ricoverati in area medica 76 (-3), mentre sono 7.797 i casi di isolamento domiciliare (340 in più rispetto a ieri).
Non si registrano decessi.
Dei 471 casi odierni, 44 sono riferiti alla provincia di Oristano, 241 all’Area Metropolitana di Cagliari, 150 alla provincia di Sassari, nessuno a quella di Nuoro, e 36 al Sud Sardegna.
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