Migliaia di persone alla manifestazione per la pace. L’opinione pubblica è per la diplomazia.
Bagno di folla alla manifestazione per la pace a Roma. Per gli organizzatori i partecipanti erano più di centomila, per la questura decisamente meno.
Fatto sta che quando la testa del corteo per la pace è arrivata a piazza san Giovanni la coda era ancora al punto di partenza, in piazza della Repubblica.
Numeri a parte, alla manifestazione di Roma, promossa da 240 sigle tra ong, associazioni cattoliche e non, e sindacati, ha partecipato una marea di gente, segno che buona parte degli italiani non vuole invio di armi, sangue e rincari, ma un credibile negoziato.
Poi c’erano i partiti, i 5 Stelle che da tempo sono assai critici sulla gestione italiana della crisi ucraina, e il Pd. I due partiti hanno marciato a “un chilometro di distanza”, il che la dice lunga. Letta ha ribadito che sull’invio di armi “lavoreremo in continuità con quello chi si è fatto e in linea con le alleanze europee e internazionali di cui facciamo parte”, tanto che è stato fortemente contestato: “Guerrafondaio, filo americano, vai a casa”, gli è stato detto mentre sfilava.
E questo mentre Conte lanciava strali sulla gestione della guerra: “Ci sono cittadini che oggi sfilano e dicono al governo italiano, e non solo, che siamo stanchi di questa strategia che prevede solo un’escalation militare. Vogliamo un negoziato di pace, faticoso, da costruire, ma dobbiamo farcela”.
Era l’alba del 24 febbraio 2022 quando il presidente russo Vladimir Putin diede l’ordine di invadere la vicina Ucraina. Oltre 8 mesi dopo, l’Italia pacifista scende in piazza per chiedere con forza che intervenga la diplomazia per porre fine alla guerra.
E per opporsi alla retorica bellicista secondo la quale non può esistere altra strada se non quella delle armi per risolvere il conflitto. Una posizione, quella contro gli aiuti militari a Kiev e l’aumento della spesa militare, che è cresciuta mese dopo mese: oggi i sondaggi confermano che la maggioranza degli italiani è contraria all’invio di armi. “Mentre all’inizio del conflitto c’era un forte consenso, più del 70% degli italiani era favorevole a supportare Kiev senza e senza ma, già da molti mesi tra il 50 e il 60% degli italiani è contrario all’invio di armi”, spiega a “ilfattoquotidiano.it” Antonio Noto, direttore di “Noto sondaggi”.
E Nicola Piepoli, saggista, accademico e direttore dell’Istituto Piepoli, sottolinea che “la retorica secondo la quale ‘bisogna difendere gli amici’ si è abbastanza sfaldata“. La svolta, sottolinea Noto, “è arrivata quando nell’opinione pubblica ha metabolizzato il concetto che l’invio di armi non avrebbe contribuito a rendere la guerra breve“. Un conflitto lungo ha ridato vigore alla posizione pacifista, che però non coincide con quella atlantista: “Il 12% degli italiani si dichiara filo-russo. Vuol dire che l’88% degli italiani non lo è. Magari critica l’Occidente, ma non è contro la Nato”.
Non sono solo le rilevazioni di Noto e Piepoli a confermare una tendenza in atto ormai dallo scorso maggio. L’ultimo monitoraggio di Ipsos ad esempio rileva che solo un italiano su quattro crede si debba continuare con l’invio di armi. Mentre secondo Swg, il 46% degli italiani auspica un accordo per far cessare la guerra anche “a costo di concedere alla Russia una parte del territorio ucraino”. Il sondaggista Roberto Weber, in una recente intervista a ilfattoquotidiano.it, aveva sottolineato un concetto: “Storicamente gli italiani, da quando faccio sondaggi, non hanno mai avuto una posizione interventista. La maggioranza degli italiani è contro gli aiuti militari a Kiev ed è possibile che tra un po’ siano anche contro le sanzioni alla Russia, da un lato per semplice cinismo“. “Il non interventismo militare non è una cosa di superficie, è una cosa antica, sedimentata tra gli italiani”, aveva spiegato Weber.
Nelle primissime fasi del conflitto, però, la maggioranza dell’opinione pubblica si era schierata nettamente a favore dell’Ucraina, anche degli aiuti militari. Antonio Noto ripercorre cosa è cambiato nella percezione da parte della popolazione: “Da molti mesi, già a maggio-giugno, abbiamo avuto i primi sondaggi che ci dicevano che gli italiani in maggioranza erano contrari all’invio di armi”. Una percentuale che è aumentata solo “lievemente, di 3-4 punti percentuali” nell’ultimo periodo, con le minacce di una guerra nucleare che si facevano sempre più insistenti.
“Ma il concetto dominante tra chi è contrario all’invio di armi in Ucraina – spiega sempre Noto – è un altro: all’inizio si pensava che l’invio delle armi fosse un modo per far terminare la guerra. Adesso si è metabolizzato il concetto che la guerra continua e non si sa quando terminerà e che l’Italia si espone anche a dei rischi di attacco. Inoltre, si è metabolizzato il concetto che con l’invio di armi non è cambiato molto e il conflitto sarà lungo”.
Eppure, come evidenzia Piepoli, “sia il governo precedente che quello attuale insiste sull’invio di armi, nonostante l’esitazione dell’opinione pubblica, che in termini profondi si è orientata più sul pacifismo“. Però, prosegue Piepoli, “ultimamente l’ala non pacifista si è rafforzata, come estremismo. Si è andata più sugli estremi, che sul centro”. Una polarizzazione dei fronti sottolineata dallo stesso Noto: “Il racconto dei media e della politica tende a estremizzare le opinioni”. Ma la distinzione tra pacifismo e atlantismo “è solo un’interpretazione mediatica, non c’è nell’opinione pubblica. I media tendono a descrivere coloro che sono contro l’invio di armi come anti–occidentali, contro il fronte-Nato“. Se critichi l’Occidente vuol dire che sei contro l’Occidente: questo è il concetto che viene raccontato. Noto invece porta alla luce un altro dato: “Nei nostri sondaggi il 12% degli intervistati si dichiara filo-russo. Vuol dire che l’88% degli italiani non lo è. Traduciamo: vuol dire che molti italiani sono critici rispetto alle strategie dell’Occidente ma non sono contro l’Occidente“.
“Dal punto di vista culturale noi italiani siamo disordinati“, sottolinea più volte Piepoli. Che però, in linea con Weber, ricorda come “il pacifismo nella popolazione italiana c’è sempre stato“. E ha radici antiche: “Anche allo scoppio della Prima Guerra Mondiale l’opinione pubblica non voleva la guerra”, spiega Piepoli, citando anche un altro aneddoto: “La popolazione italiana era contro la guerra anche nel 1939 e fino a maggio 1940, quando Mussolini aveva già deciso di entrare in guerra. Il 10 giugno l’Italia dichiarò guerra, il 15 di giugno la maggioranza della popolazione era già di nuovo contro il conflitto”.
Tornando all’oggi, Piepoli nota come la componente pacifista nell’opinione pubblica “in questi mesi si è aggregata, ha trovato dei poli d’attrazione”. In questo momento sono fondamentalmente due: “Uno fa capo al M5s, o se vogliamo al pensiero espresso da Conte, l’altro fa capo alle opinioni espresse da Berlusconi più recentemente. Questi due poli, partendo da angolature opposte, hanno prodotto delle concentrazioni pacifiste che prima non esistevano”.
Noto però sottolinea anche come dietro alla contrarietà all’invio di armi non ci sia “una valutazione politica o ideologica, bensì dettata da una condizione economica e dalla paura“. “Siamo diventati un popolo di ‘paurosi’ – spiega Noto – abbiamo paura che possa scoppiare la terza guerra mondiale, abbiamo paura che le sanzioni stiano avendo effetto sull’economia italiana. Sono questi i fattori che incidono sull’opinione pubblica”. Secondo il sondaggista, infatti, “c’è il convincimento che la crisi economica che oggi c’è in Italia è influenzata anche dalla nostra partecipazione alla guerra, da una parte con l’invio di armi e dall’altra con le sanzioni”. E infatti un trend simile è emerso anche rispetto alle sanzioni: “Nei primi sondaggi i favorevoli erano l’80-85%, mentre adesso sono tra il 50-52%. Quindi la metà dei cittadini o poco più è ancora a favore, ma non è più quella percentuale bulgara che c’era sei mesi fa”. Una tendenza che nei prossimi mesi potrebbe aumentare: “C’è la forte convinzione che l’aumento delle bollette sia il risultato della guerra che in questo momento si combatte in Ucraina”.
Queste oggi sono “le paure” degli italiani, rispetto alle quali Piepoli propone anche un altro ragionamento: “L’Italia non ha vissuto la guerra, la popolazione non sa cos’è la guerra e quali sono le conseguenze della guerra. Gli stati d’animo che durano anni e anni, che producono altre catastrofi nel corso del tempo. Tutto questo appartiene al passato, non è presente nell’opinione pubblica”, spiega l’accademico. Che prende ad esempio un suo ricordo personale: “Io ho ben presente Milano ridotta in macerie. Macerie all’infinito, rovine viste con i miei occhi di bambino. Vedere Milano distrutta è spaventoso. Ho vissuto per almeno 20 anni della mia vita post-bellica pensando alle sirene ogni volta che sentivo un rumore di notte”. Esperienze che per la maggioranza della popolazione non sono concepibili: “In famiglia però se ne parla, c’è spesso qualcuno che ha vissuto la guerra”, evidenzia Piepoli. Che vuole lasciare un pensiero personale: “Finché vivrò odierò la guerra. Voglio essere integro con il mio Paese e morire in pace nel mio Paese. La pace prima di tutto. La pace è più importante della vita“. (da ilfattoquotidiano.it).
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