I tentativi di annullamento del PPR continueranno ad essere vani (di G. Biggio).
Nel corso degli anni la Regione Sardegna ha optato prima per i PTP e poi, per i motivi che i decisori politici dovrebbero conoscere bene, nel 2006 ha approvato il PPR.
Ma quali sono le differenze tecniche e giuridiche tra i primi e il secondo? E il caso di rinfrescare la memoria per quelli che le conoscono e legislatori, amministratori, imprenditori che pare le ignorino. Questo a giudicare dalle affermazioni che si sentono nelle interviste perché nessuno mette mai niente per scritto.
Il corpus legislativo nazionale prevede numerosi strumenti urbanistici a cascata, con funzioni e competenze anche molto diversificate in base alle necessità territoriali. Il Piano Territoriale Paesistico (PTP) è uno strumento la cui estensione può essere limitata ad un territorio di area vasta o può allargarsi all’intero ambito regionale.
Stabilisce, oltre al rapporto tra aree libere ed aree edificabili, la distribuzione e il vario allineamento dei fabbricati, la tutela del patrimonio naturale, agricolo, forestale, storico-artistico e ambientale. E’ uno strumento urbanistico-territoriale incentrato sui valori paesaggistici e ambientali. Si tratta di una visione integrata, al tempo stesso paesistica e urbanistica, del territorio considerato.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 151/1986 ed altre di quello stesso periodo, ha affermato che il nostro ordinamento costituzionale privilegia la tutela ambientale e che gli interessi pubblici relativi alla tutela dei valori ambientali debbono essere considerati come interessi prioritari, insuscettibili di essere subordinati ad altri interessi pubblici.
In particolare, come ci ricorda Roberto Gambino: “partire dall’ambiente per pianificare il territorio, significa non già considerarlo come un dato rigido e immodificabile che vincola o determina univocamente le scelte di sviluppo; ma piuttosto come l’oggetto privilegiato, alla cui tutela e riqualificazione vanno orientati i progetti di trasformazione”.
Il Piano Paesaggistico è anch’esso uno strumento di estensione variabile e nel caso di sviluppo a scala regionale diventa Piano Paesaggistico Regionale (PPR). Dal 2004 deve essere coerente con le disposizioni contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (DLgs 42/2004).
La sua valenza è meramente paesaggistica e la sua efficacia discende direttamente dall’art. 9 della Costituzione. Come in altri strumenti di pianificazione, il concetto motore è che non ci sono paesaggi che meritano di essere conservati e altri consumati, ma più correttamente che esistono livelli di trasformabilità differenziati in funzione del ruolo che una determinata porzione di territorio assume nell’ambito del sistema ambientale, naturalistico e storico-culturale di appartenenza.
Ma quali sono le differenze tra i due strumenti?
Vi sono differenze tecniche di dettaglio che al momento tralasciamo per concentrarci su una differenza fondamentale. Il PTP è uno strumento che possiede sia le caratteristiche degli strumenti urbanistici che quelle di tipo paesaggistico. Quindi è uno strumento che riassume in sé tutte le funzioni delle trasformazioni territoriali, urbanistiche e paesaggistiche.
Il PPR invece è uno strumento con valenza esclusivamente paesaggistica. Per inciso vorrei ricordare che nel 1986 la Corte costituzionale allargò il concetto di paesaggio ad “ogni elemento naturale e umano attinente alla forma esteriore del territorio”. Il concetto è stato ulteriormente ampliato dalla Convenzione europea del paesaggio nel 2000.
Quindi il PPR contiene norme per le trasformazioni territoriali, ma solo a valore paesaggistico e non urbanistico. Prova ne è che all’interno del PPR non si troverà mai alcun indice di edificabilità, termine tipico del lessico urbanistico e sconosciuto a quello paesaggistico.
Fatte queste precisazioni, ricordiamo che le competenze paesaggistiche sono in capo allo Stato (con eventuale delega alle Regioni, ma non con trasferimento) che ne garantisce il rispetto del principio costituzionale, mentre quelle urbanistiche, nel caso della Sardegna quale Regione a statuto speciale, sono di competenza primaria regionale.
A questo punto sorge spontanea una riflessione sui numerosi tentativi che le ultime legislature regionali hanno intentato nel volere dichiaratamente annullare il PPR, o ridurne drasticamente gli effetti, attraverso la stesura e l’approvazione di una nuova legge urbanistica. I tentativi proposti sono stati alquanto maldestri e quindi non hanno trovato il consenso sperato.
Ma anche ipotizzando una legge in grado di raggiungere il consenso necessario per l’approvazione, rimane sempre il grande quesito di fondo su come possa una legge urbanistica influire o addirittura sovvertire le disposizioni di un Piano Paesaggistico che per definizione è altro rispetto ad un piano urbanistico? O come possa una legge urbanistica regionale contrastare, fino alla sua totale negazione, un piano che discende direttamente dall’applicazione di un principio costituzionale?
E peraltro quale coerenza esiste nella continuità amministrativa di una Regione che ora vuole annullare un piano precedentemente elaborato e condiviso con lo Stato?
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, sancisce le regole per il coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione territoriale (art. 145), affermando che le previsioni dei Piani Paesaggistici non sono derogabili da piani, programmi e progetti nazionali o regionali e che le sue disposizioni sono prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore. Ovvero ne eleva il rango in funzione della sua diretta discendenza dal principio costituzionale.
Nel citato Codice dei beni culturali e del paesaggio è stato introdotto il concetto di “patrimonio culturale“ formato sia dai beni culturali che da quelli paesaggistici. Di conseguenza si afferma un concetto proprietario dell’ambiente e del paesaggio, testimoniato dalla parola “patrimonio”. E’ questa una ricchezza collettiva che non può piegarsi agli interessi personali di pochi. Lo sviluppo economico e la ripresa del settore edilizio possono passare solo attraverso una corretta gestione di questo fondamentale patrimonio e non certo attraverso la distruzione di un piano lungimirante che in molti ci invidiano.
I ripetuti tentativi di annullamento del PPR continueranno ad essere vani nella sostanza, perché il Codice dei beni culturali e del paesaggio ha introdotto dei concetti fondamentali per una corretta pianificazione paesaggistica e territoriale ed oggi costituisce pietra miliare nel processo evolutivo della coscienza collettiva dell’intero patrimonio culturale. (Giuseppe Biggio, già direttore del Servizio Pianificazione territoriale della Regione Sardegna, www.sardegnasoprattutto.com).
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