La quarta Provincia nata dalla volontà di un riequilibrio delle opportunità.
La Provincia di Oristano ha compiuto 50 anni. Tra le manifestazioni organizzate per il mezzo secolo dell’ente ha spiccato il convegno, tenutosi al Teatro Garau di Oristano, magistralmente organizzato dall’amministratore straordinario della Provincia, Battista Ghisu.
Dopo i saluti di Battista Ghisu e del prefetto di Oristano Salvatore Angieri, hanno esposto le loro relazioni Francesca Pubusa dell’Università di Cagliari; Roberto Deriu, già presidente della Provincia di Nuoro e attuale capogruppo del Pd in consiglio regionale; il direttore dell’Unione delle Province d’Italia, Piero Antonelli, in collegamento video; Daniela Falconi, presidente dell’Anci; mentre le conclusioni sono state affidate a Gian Valerio Sanna, ex presidente della Provincia di Oristano, ex assessore regionale all’Urbanistica ed Enti locali, attualmente presidente del Consorzio Uno-Università di Oristano, e direttore scientifico dell’Associazione culturale Lucio Abis, associazione che sta dando uno scossa al letargo in cui è caduta la politica locale.
Da sottolineare l’assenza dei consiglieri regionali eletti in provincia di Oristano e dei consiglieri comunali. Peccato, perché avrebbero potuto imparare qualcosa.
Questo l’intervento conclusivo di Gian Valerio Sanna:
“Uno degli snodi che può cambiare il corso delle cose, che può dirimere e superare la rassegnazione popolar, tra la gente dove non alberga più il seme della democrazia, è l’idea che partecipare significa cambiare. Questo significa correre il rischio che da piccole cose divampi un fuoco che dopo non si può contenere.
La situazione della Provincia di Oristano va osservata con la lente della nostra specialità. Molte volte ci dimentichiamo che abbiamo una specificità, alla quale non facciamo mai adeguato riferimento. Sappiamo benissimo che la legge 56/2014, la cosiddetta legge Delrio, ha portato in materia di Province un disorientamento, una confusione generale. Lo dico in una battuta: quando si prova ad attaccare la saggezza dei padri costituenti con un massimalismo da accatto, si finisce come siamo finiti con le Province, come si finisce da altre parti quando si bocciano i provvedimenti.
Un soggetto costituzionale ha bisogno di rispetto, e ne ha bisogno ancora di più se sta dentro un contesto di specialità e autonomia che gode di un privilegio, che non dobbiamo mai dimenticare. E quando ce ne dimentichiamo dobbiamo andare a frugare dentro le specificità di questa autonomia. Oggi si parla di insularità, e sembra che sia un elemento di addobbo e non un elemento a cui bisogna dare contenuti. Bisogna fare qualcosa, rovesciare scrivanie, alzare il tono della voce, perché diversamente siamo destinati a una decadenza progressiva.
Si è manifestata, in un certo periodo storico, un di più di decadenza politica fatta di tanti aspetti, che il politico intelligente piuttosto che guardare a se stesso ha cercato di guardare gli altri, e ha messo sul terreno della compravendita, nel silenzio della quiescenza, quello che sembrava più facile attaccare. E fu il tempo della Provincia da cancellare, i costi della politica i costi inutili, senza pensare che la realtà italiana è molto differente. E la realtà demografica della Sardegna ha una particolarità con la quale dobbiamo fare i conti.
In Sardegna la cancellazione della Provincia ha coinciso con la più acuta crisi di tutte le politiche di coesione territoriale, l’incapacità di fare mediazione territoriale, di dare la possibilità agli amministratori la capacità di assumersi la responsabilità che andasse oltre il particolare, oltre il locale, che fa quella funzione intermedia per la quale i padri costituenti avevano individuato un ente.
Noi della Provincia abbiamo incominciato a fare un lavoro che nessuno si era posto il problema di fare, a partire dai Piani integrati d’area, Siamo stati gli enti protagonisti del processo di riforma dei fondi strutturali europei, proprio perché il principio della concertazione e il rapporto tra Comuni, entità imprenditoriali e associative del mondo del lavoro ed economico in qualche modo partecipavano alla trasparenza dei processi di sviluppo. Tutto questo è andato in malora e ha ripreso a galoppare un individualismo localistico, il cui esempio è nella manovra di assestamento di quest’anno della Regione: 24 milioni dati in dispersione. Una cosa vergognosa. Pensate cha hanno finanziato il festeggiamento degli anniversari cinquantennali delle associazioni folkloristiche; hanno finanziato le società sportive nel pieno dei campionati, falsando anche le dinamiche che stanno alla base di queste cose. Uno sfracello di mille cose inutili, che sono oggi oggetto di una grande polemica. Dico subito che cosa avrei fatto io se fossi stato assessore agli Enti locali: “Presidente quei 24 milioni li metta sul fondo unico che ci penseranno gli enti locali a trovare la migliore collocazione sulla base dei bisogni”. E non avrebbe perso una lira, dando soddisfacimento ai bisogni che sono impellenti nelle amministrazioni comunali.
Quando si dice che il potere lavora per produrre se stesso, stiamo dicendo che oggi, in mancanza di interlocuzione intermedia, decidono i consiglieri regionali che hanno l’unico problema di riprodurre se stessi alle prossime elezioni. Ma non guardando al proprio territorio, non guardando a un’aggregazione di problemi, non guardando all’esigenza di uno sviluppo infrastrutturale che vada oltre la dimensione locale.
Accenno alle cose più urgenti: l’ordinamento degli enti locali della Sardegna è una parte rilevante dell’ordinamento dell’autonomia, abbiamo competenza. La Regione Sardegna non aveva bisogno di “ascoltare” la legge Delrio, e non ha bisogno di rapportarsi a una legge dello Stato perchè ha in sé i poteri in materia di Province. E lo può fare subito.
Quando nel ’48 si stava discutendo del nostro statuto, l’onorevole Scelba presentò un emendamento per eliminare, nel secondo comma dell’articolo 43, la dicitura che fissava i numeri delle Province. In virtù di questa eliminazione si è ritemuto, a livello nazionale, che la Provincia di Oristano dovesse essere istituita con legge dello Stato. E così avvenne.
L’interpretazione che poi maturò, senza bisogno di nessun intervento legislativo, è che il secondo comma dell’articolo 43 quando parla di modifica va inteso nel senso che se tu modifichi le amministrazioni delle tre che hai individuato (le Province di Cagliari, Sassari e Nuoro), automaticamente individui un altro soggetto. La modifica è stata acquisita dal patrimonio legislativo regionale per farne otto. Però attenzione, perché se oggi stiamo parlando di questo problema è perchè siamo stati castigati dal troppo della politica, quello di voler rappresentanze dell’area vasta ridotte ai minimi termini. Bisogna trovare una definizione acquisibile al patrimonio comune di area vasta, perchè altrimenti scoppiano i localismi, e allora pagano le istituzioni in quanto tali e non i territori che hanno bisogno di risposte.
La Regione Sardegna ha competenza in materia elettorale, organi di governo e funzioni. Se la materia elettorale appartiene alla Regione, e a questo proposito ci sono due sentenze, la 48/2003 e la 373/2007 della Corte Costituzionale che, molto chiaramente afferma di averla già detta per una questione rilevante della Regione Sicilia, ovvero le Regioni a statuto speciale hanno la competenza ascrivibile all’articolo 117, comma 2, lettera b della Costituzione, cioè la materia elettorale la decide la Regione. Mi spiegate perché dobbiamo discutere ancora di primo e secondo livello, se abbiamo la competenza in materia elettorale?
Nella legge 56, al comma 1, non c’è scritto da nessuna parte che le Province devono avere organi di secondo livello, perché la dicitura di grande riforma economico-sociale è riferita solo agli organi di governo delle Città metropolitane, non delle Province. Quindi bisogna fare una riflessione: riappropriarsi degli strumenti, decidere subito quello che si deve fare, evitare il troppo della politica attraverso il contenimento dei localismi, cosa che si può fare attraverso la definizione di un modo d’intendere l’area vasta, e ricominciare a costruire un ente intermedio.
Peccato, un tempo i patti di stabilità si erano un po’ allentati, e forse sarebbero stati utili per ripristinare gli organici, le strutture amministrative delle Province. Ora bisogna ricominciare dalla capacità di avere degli enti intermedi che riprendano la mediazione territoriale, dove devono essere collocate le risorse, e assegnare loro il compito di trovare la migliore collocazione.
Siccome si parlava di enti inutili, io considero che, mentre l’area di Cagliari e l’area di Sassari appena uscita la legge Delrio sono corse ai ripari e si sono create le aree metropolitane, hanno lasciato le Province di Oristano e Nuoro col cerino in mano.
Quando ci si siede ai tavoli regionali della programmazione, chi è che rappresenta quest’area interna della Sardegna? Chi è che dice che abbiamo dei bisogni? I singoli consiglieri regionali, che non hanno titolo per rappresentare ambiti diversi? E allora c‘è necessità di trovare degli interlocutori. Oggi c’è l’esigenza della Provincia di Oristano e di quella di Nuoro di costituirsi come Province di primo livello, a prescindere da quello che si deciderà sul resto del territorio. E’ questa un’esigenza di riequilibrio primario delle opportunità che non va assolutamente barattata con altre cose. La politica deve trovare anche una moralità nelle sue funzioni. Noi chiediamo la Provincia, perché sappiamo che può lavorare per quella che l’enciclica del Papa indicava come elevazione sociale. Dobbiamo lavorare per questo.
Abbiamo dei territori che sono dispersi dal punto di vista demografico; le politiche di intermediazione sono necessarie; basta con l’Unione dei Comuni che alla fine di ogni anno si trovano i soldi non spesi e se li scambiano tra loro. Quelle sono cose da eliminare, enti inutili che non servono. Dobbiamo ripristinare altri strumenti.
Faccio un cenno a questo aspetto per gli smemorati, perché è bene ricordarlo: il riequilibrio territoriale e infrastrutturale (porti, aeroporti, università) sono largamente dovute all’azione delle Province. Da quel momento in poi chi è che si interessa di queste cose? Si sono interessati i consiglieri regionali, perché sono nate, come dei funghi, le Università a Tempio, l’Università a Olbia che replica quella che c’è a Oristano, un’altra a Iglesias; tutti i padroncini si sono fatta l’Università. E questo è per garantire l’alta formazione, oppure per avere un ritorno elettorale? Le Province devono mediare questi fenomeni per garantire servizi di alta qualità.
Le Province, come le ho vissute io, erano la fonte d’altissimo livello di classe dirigente e hanno dato alla Sardegna quadri politici e amministrativi di altissimo livello. Questo fenomeno si è interrotto, privando i territori di pretendere qualità nella propria rappresentanza. Immaginate i collegi elettorali provinciali, un elemento sovracomunale dove l’eletto aveva la funzione di mettere d’accordo i sindaci per trovare una soluzione che portava nel consiglio provinciale perché diventasse patrimonio di tutti. Chi svolge oggi questa funzione? Allora educavamo gli amministratori a sollevare lo sguardo, a guardare l’orizzonte, perchè la politica è prima di tutto coltivazione di un interesse generale astratto, non locale, non particolare. Abbiamo perso di vista questo, perché si è ritenuto, e si ritiene ancora che le Province siano inutili, e a me dispiace perchè molti di noi hanno le radici della propria formazione quando la politica, basata su un afflato morale, era una missione, con l’idea di poter migliorare la comunità, di mettere insieme il meglio che c’era. Adesso non abbiamo più questo modo di tirare su una nuova classe dirigente.
Abbiamo concorso con la Comunità europea alla modifica dei fondi strutturali e siamo stati assegnatari di un piano di sviluppo per l’occupazione di 100 miliardi di lire; stiamo parlando di 53 milioni di euro, portati su questo territorio, non per far crescere la spesa inutile, ma totalmente a disposizione delle organizzazioni, dei sindacati, delle imprese, delle infrastrutture. Quanto abbiamo fatto per l’aeroporto di Oristano e delle altre infrastrutture l’abbiamo fatto grazie a questa sfida, perchè ci chiedevamo “Cosa faccio io per la mia provincia?”. Avevamo fatto una scelta diversa.
Ora non chiediamo tutto, perché tutto non serve, dobbiamo chiedere quello che occorre alla nostra provincia, quello che la caratterizza di più, ciò che struttura la sua economia, non disperdere ma concentrare, e chiamare soprattutto gli operatori, i rappresentanti dei lavoratori e delle imprese a dire la loro. Oggi abbiamo una speranza nell’agroalimentare, abbiamo messo nell’Università un supporto di alta formazione per farla crescere. Perché non dobbiamo partecipare ai tavoli dell’agricoltura della programmazione per vedere come questa eccellenza, che serve tutta la Sardegna ed è utile anche alla nazione in termini di prodotto interno lordo, possa essere valorizzata e portata avanti.
La Provincia deve trovare un suo rilancio. Lo chiede la Costituzione, che non è stata modificata per noi della Sardegna. Quindi chiedo ai legislatori della Regione, e mi avrebbe fatto piacere dirlo direttamente alla giunta regionale, che la specialità significa anche alzare il tiro. Se anche si dovesse ipotizzare un confronto con la corte Costituzionale, dico che si può fare, ma forti di queste norme, perché l’articolo 43 è rimasto tale, e la legge Delrio non ha avuto la forza, per nostra fortuna, di annientare l’autonomia e la specialità della Sardegna; si utilizzino queste armi per ripristinare la Provincia.
Nel frattempo è necessario che, quantomeno dalla prossima finanziaria, il fondo unico destinato alle Province sia rifinanziato in maniera corretta, anche in relazione a una sfida che può essere accettata da tutti noi: aumentare le competenze delle Province. Per esempio nell’edilizia scolastica, che è un ganglio rovente anche in materia di sicurezza dei nostri bambini, dei nostri alunni. La Provincia ha una specializzazione in questa materia e può fare anche il lavoro dell’edilizia comunale scolastica, che può curare con professionalità ed eccellenza, sgravando i Comuni da un aggravio che può destinare ad altre cose.
Bisogna riscoprire che il cammino della politica attraverso le istituzioni è sempre un cammino accompagnato da un livello di riflessione morale, un servizio che la politica rende ai cittadini. Bisogna sempre diffidare di quei politici che ci dicono che la politica è una cosa e la moralità un’altra. Quelle persone sono le più pericolose. Sono quelle che lavorano ogni giorno per la propria rielezione, dimenticando che ci sono persone che soffrono, che hanno bisogno di essere restituite alla cittadinanza di tutti.
Bisogna, quindi, rilanciare il discorso delle Province anche in chiave autonomistica. La Sardegna ha il diritto di avere un ordinamento, un’architettura istituzionale sua, che risponda alle vere esigenze di un popolo che ha sofferto pure troppo”.
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