Facebook nuovo oppio dei popoli.
Lo dico subito: non sono favorevole a Facebook nè, in generale, ai social network, anche se riconosco che, se ben utilizzati (cosa questa che avviene raramente), possono essere di una certa utilità.
Sono contrario a Fecebook perchè, secondo il mio modesto parere, ritengo che abbia ucciso i rapporti interpersonali, sia una fonte inesauribile di false notizie (a cui, purtroppo, molti credono), abbia obnubilato le menti, porti ad astrarsi dalla realtà, dia dipendenza, sviluppi l’egocentrismo più becero e, come aveva affermato Umberto Eco, “abbia dato diritto di parola a legioni di imbecilli”.
Sull’argomento, tempo fa, un esperto web come Bonaventura Di Bello (55enne scrittore, creatore della prima rivista dedicata al mondo di Internet e del software libero “GigaByte”, autore di avventure testuali per le principali piattaforme informatiche, divulgatore di nuovi argomenti legati all’informatica e alla tecnologia, e poliedrico autore nel campo della comunicazione) aveva scritto un interessante articolo sul famoso social network, dal titolo “Cos’è Facebook, realmente”, che mi trova abbastanza d’accordo e che propongo alla vostra attenzione.
“Sì, lo so, Facebook è un social network, ovvero una ‘rete sociale’, questo è ormai chiaro. Come è chiaro che dentro questa rete vengono ‘pescate’ ogni giorno milioni di persone già soltanto in Italia, la maggior parte delle quali ci finisce attraverso l’app per dispositivi mobili, generalmente smartphone. Tu sei solo un pesciolino in questo immenso mare, ma per Facebook sei un pesciolino d’oro, credimi, visto che in un modo o nell’altro contribuisci ai suoi profitti, che tu lo voglia o no. Considerando le risorse che Facebook sta investendo nello sviluppo di un sistema basato sull’intelligenza artificiale con cui gestire il comportamento e i contenuti dei suoi utenti, è facile capire come sorga la necessità di ‘sfruttare’ al meglio questi ultimi per compensare i costi esorbitanti che il mantenimento e la gestione di una piattaforma del genere può comportare. Non so quante informazioni hai già dato a Facebook su di te, sui tuoi dati anagrafici (nome, sesso, età, luogo di nascita, ecc.), sulle tue preferenze (musica, film, libri, cibo, ecc.), sulle tue relazioni familiari e sociali, sui tuoi studi e sul tuo lavoro, e così via, ma dall’insistenza con cui Facebook ti chiede di ‘svelare’ queste informazioni dovresti aver già capito quanto le considera importanti. Certo, dirai tu, è solo grazie a queste informazioni che mi mette in contatto con altre persone che condividono i miei stessi interessi, mi permette di ritrovare i miei amici, parenti, ex compagni di scuola o ex colleghi di lavoro, e del resto Facebook è gratis… oppure no?
Facebook “non” è gratis
Tralasciamo il fatto che la ‘profilazione’ ottenuta attraverso i tuoi dati e le tue preferenze è uno degli strumenti migliori per vendere agli inserzionisti opportunità di fare pubblicità mirata al suo interno, e Facebook ottiene ‘gratis’ queste preziose informazioni da ogni persona registrata sul network. E tralasciamo anche il fatto che Facebook ottiene ‘gratis’ dai suoi utenti uno degli elementi più di valore oggi su Internet, ovvero i contenuti, visto che siamo tutti pronti a ‘postare’ testi, immagini, video, link e quant’altro pur di ottenere qualche ‘like’, qualche commento e magari anche qualche condivisione, che a sua volta fa ripartire il ciclo dei ‘like’ e dei commenti, e così via. Tra parentesi, questa cosa ha un nome: user generated content, ovvero contenuto generato dagli utenti, lo stesso con cui si alimentano e sopravvivono gli altri social network e anche YouTube e altre piattaforme. Ciò che non possiamo tralasciare è il bene più prezioso che Facebook (ma non solo) ti sottrae ogni giorno, un poco per volta, e che ha un valore ben più grande del denaro. Sto parlando del tuo tempo, della tua attenzione e della tua consapevolezza del momento presente. Insomma, della tua vita.
Facebook è un buco nero
Del modo in cui Facebook e gli altri social fagocitano e disintegrano i contenuti, il tempo e l’attenzione delle persone ho già avuto modo di parlare nel mio articolo “I sociale e i fast food dei contenuti digitali”, ma con questo articolo ho voluto soprattutto evidenziare come questo e altri social network stiano sistematicamente distruggendo quello che era il cocetto originale del Word Wide Web, ovvero la creazione di contenuti facilmente reperibili dagli utenti grazie alla presenza dei collegamenti ipertestuali e di un sistema di archiviazione in grado di conservarli nel tempo. La sola esistenza delle app è una seria minaccia alla sopravvivenza di questa meravigliosa idea da cui tutto è iniziato, grazie a Tim Berners-Lee e al suo meno noto collega Robert Cailliau. Relegare le informazioni del Web all’interno di applicazioni mobili è una strategia per tenere gli utenti all’interno di un recinto ben delimitato ed evitare che possano scorrazzare liberamente nel resto del World Wide Web, attraverso la loro stessa complicità, ottenuta grazie al miraggio di un uso sempre più facile e intuitivo dello strumento stesso.
Il fatto che tu faccia parte di quella schiera di persone che ha conosciuto la Rete soprattutto grazie a Facebook e ai suoi fratelli e cugini ‘social’, e ti sia perso quegli aspetti di cui parlerò fra poco, non giustifica affatto la tua complicità in questa sistematica distruzione di massa e, di conseguenza, non attenua la tua colpevolezza a riguardo. Se, invece, fai parte come me di quella generazione che ha visto nascere e svilupparsi il World Wide Web e ne ha apprezzato il contributo concreto alla ricerca di informazioni e soluzioni personali o professionali, ma continui a unirti alla schiera di vittime ignare che alimentano gli interessi di chi gestisce queste piattaforme impiantate come tenie all’interno del nostro tempo quotidiano e pronte a nutrirsi della sua preziosa linfa, beh, sei un complice ancora più consapevole, e di conseguenza più colpevole di molti altri, tanto per il fatto di contribuire a questo subdolo processo distruttivo, quanto per il fatto di non mettere in guardia gli altri riguardo alla sua pericolosità.
Ti sembra esagerato quanto ho appena scritto? Allora rifletti su un po’ di cose, prima di proseguire nella lettura:
1) questo articolo resterà un contenuto di mia proprietà, perché pubblicato sul “mio” sito/blog;
2) il suo contenuto sarà disponibile per tutti, anche in futuro (a conservarlo ci penserà la Wayback Machine);
3) le persone potranno individuarlo sul Web attraverso i motori di ricerca;
4) chi vorrà promuoverlo in maniera efficace potrà creare un link da un altro sito, e anche quest’ultimo sarà conservato nel tempo e facilmente individuabile.
Ora confronta questi quattro aspetti con i contenuti che tu e gli altri utenti di social network ‘regalate’ a queste piattaforme destinandoli a una rapida spersonalizzazione, alla banalizzazione e infine all’oblio.
“Niente è più pericoloso di uno stupido che afferra un’idea, il che succede con una frequenza preoccupante. Se uno stupido afferra un’idea, è fatto: su quella costruirà un sistema e obbligherà gli altri a condividerlo”. ( Ennio Flaiano).
Facebook è la morte dei blog (e dei loro commenti)
Permettimi prima di tutto di sorvolare sull’uso degli strumenti di pubblicazione offerti dalla Rete come semplice espressione del tradizionale ‘diario’ dove, a differenza di quanto si faceva affidando all’intimità della carta e di un cassetto, milioni di persone espongono il delirio quotidiano delle loro reazioni emotive, dei loro ricordi e delle loro ansie a un pubblico che al massimo si degnerà di leggerli per puro voyerismo e/o tendenza al pettegolezzo e di sicuro non per un istinto empatico o una vocazione misericordiosa verso il prossimo. Questo utilizzo narcisistico degli strumenti di pubblicazione digitale è, non a caso, particolarmente diffuso fra gli utenti dei social network, e se non fai parte di quella folta schiera di persone pronte a ‘postare’ tempestivamente anche la notizia di un semplice mal di testa o dell’incazzatura derivante da una coda nel traffico o una fila allo sportello, avrai sicuramente già notato questa tendenza in qualcuno dei tuoi ‘amici’ o persone che ‘segui’ attraverso i tuoi account social.
Il blogging cui facevo riferimento nel titolo è attraverso cui uno o più autori pubblicano dei contenuti utili, interessanti o divertenti, possibilmente organizzati in categorie, e identificati da ‘etichette’ (tag) attraverso cui diventa più facile consultarli. Il fatto che i social network contribuiscano a promuovere questo tipo di contenuti attraverso la pubblicazione e condivisione dei link corrispondenti non fa molta differenza, per una serie di motivi:
1) la segnalazione di un contenuto del Web attraverso i social è una goccia nell’oceano;
2) chi ‘vede’ un link a un contenuto condiviso quasi mai ha per esso lo stesso grado di interesse di chi, invece, lo trova dopo una specifica ricerca sui motori;
3) la possibilità di commentare e votare un link a un contenuto nei social priva quest’ultimo di tale interazione nel suo luogo di origine.
Sì, perché nel suo processo di sistematica distruzione del blogging in virtù di una maggiore facilità di ‘postare’, Facebook ha anche contribuito all’estinzione di quella splendida forma di interazione che erano i commenti sui blog stessi. Così come ha contribuito, del resto, a rendere meno ‘moderabili’ questi interventi da parte del pubblico, con la conseguenza di generare spesso discussioni sterili che traggono origine da un commento idiota (o tendenzioso) e si alimentano a vicenda soffocando magari altre discussioni ben più costruttive e utili.
Con Facebook e gli altri social, e con l’avvento delle app, il tradizionale blogging lascia sempre più il posto al cosiddetto micro-blogging. La facilità con cui chiunque, oggi, può ‘postare’ uno status, un’immagine, un’animazione o un link su Facebook, anche e soprattutto dall’app sul suo smartphone, non fa altro che incoraggiare un uso tutt’altro che intelligente dello strumento di pubblicazione, generando un flusso di contenuti inutili o persino dannosi, che di fatto travolge quell’esigua minoranza di contenuti intelligenti, utili e interessanti (o quantomeno ‘intelligentemente divertenti’) pubblicati da chi crede ancora che i social media si possano utilizzare alla stregua dei blog.
Qualcuno tenta di evidenziare le potenzialità dei social come strumento di ‘citizen journalism’, soprattutto in quanto fenomeno di denuncia sociale o in funzione di altre forme di attivismo, come contributo per appelli e altre attività solidali e così via, ma considerando la rapidità con cui anche questo tipo di contenuto sparisce e si confonde con il marasma in cui viene gettato o le polemiche inutili che spesso scatena, ci sarebbe da considerare maggiormente strumenti alternativi e soprattutto l’utilizzo del blogging tradizionale come canale di comunicazione anche per questo genere di contenuto.
Facebook è la morte dei forum e dei gruppi di discussione
Quando Facebook ha introdotto i “gruppi” molti hanno avvertito ‘un tremito nella Forza’, come direbbero i fans di Star Wars. Diciamocelo, i gruppi di Facebook vengono molto spesso utilizzati per promuovere attività commerciali, oppure l’ego di chi li crea, soprattutto quelli che tentano di attribuirgli una parvenza di “cerchia ristretta” scegliendo i “gruppi chiusi”. Ho avuto modo di osservare personalmente, nel tempo, forme di rancore e invidia tutt’altro che serpeggianti all’interno di queste pseudo-comunità, dove l’equilibrio fra moderatori e utenti si perde in favore di un ruolo più marcato e ‘interessato’ dei primi, e i cui partecipanti si distinguono, fondamentalmente, in due tipologie principali.
Da una parte la maggioranza degli iscritti, ovvero degli ‘ospiti’, che si registra spesso per fare semplicemente il suo ingresso trionfale (anche se somiglia quasi sempre alla classica presentazione nei gruppi di sostegno), ottenere le informazioni immediatamente necessarie ai propri interessi o prendersi qualche pacca di incoraggiamento e qualche minuto di celebrità, per poi sparire nel nulla limitandosi eventualmente a ‘lurkare’ o al massimo mettere a sua volta qualche distratto ‘mi piace’ agli interventi degli altri iscritti.
Dall’altra gli organizzatori, spesso presenti nel ruolo di pseudo-guru ma più che altro intenti a coinvolgere chi magari ha più esperienza di loro a dare un contributo di sostegno al primo gruppo, oppure condividere gratuitamente la propria esperienza in modo da consentirgli di trarne un vantaggio personale e magari ‘rivendersi’ quanto hanno imparato come farina del proprio sacco. Ma guai se qualcuno osa appena un poco mettersi in luce e ‘oscurare’ così la loro, perché ci sarà sempre qualcuno che salta fuori dal nulla, pronto ad attaccare i suoi interventi tacciandoli di auto-promozione, come se il gruppo stesso non fosse stato creato per promuovere i suoi organizzatori. Insomma, la regola che vige in questi simpatici ambientini virtuali è quella del “fatti sfruttare senza ritegno, ma non alzare troppo la testa altrimenti risulterai fastidioso e rischierai di essere espulso”.
Anche nel caso dei gruppi, ovviamente, assistiamo a una scellerata erosione di quello spazio che, meritatamente, forum e newsgroup si erano ritagliati sul Web, offrendo contenuti durevoli e facilmente reperibili e consultabili (provate a cercare qualcosa che avevate notato un mese fa in un gruppo di Facebook, e capirete cosa voglio dire).
Per fortuna esistono ancora piattaforme nate per mantenere questa sana abitudine di condivisione e aiuto reciproco, dove si respira un clima più democratico e di mutuo sostegno e dove niente di ciò che viene pubblicato scompare nel tempo (il che per alcuni casi di sciacallaggio e polemica non è sicuramente un bene, ma tant’è). Basta confrontare una piattaforma come “Quora” o anche un semplice forum italiano come quello dell’Accademia della Crusca con i gruppi di Facebook per capire di cosa sto parlando. E se proprio volete fare un confronto diretto, provate a registrarvi su un foruma come quello dedicato a Tenerife e le altre isole Canarie, e poi fate un confronto spassionato con l’utilità di questo rispetto ai gruppi dedicati allo stesso argomento presenti su Facebook.
Purtroppo il mondo dei forum finirà per dissolversi gradualmente, come è successo a quello dei newsgroup, col progressivo abbandono del pubblico a favore di un canale più facilmente fruibile, soprattutto da smartphone, ma ‘diversamente inutile’ come quello di Facebook, che non garantisce la stessa cura per la salvaguardia dei contenuti che una piattaforma Web vera e propria invece offre. La cosa assurda è che, a parlare di queste cose, si rischia di passare per dei nerd nostalgici perennemente attaccati al passato, dando la stessa impressione di quegli anziani che esordiscono, parlando ai più giovani, con “ai miei tempi…”
Facebook è la morte dei rapporti interpersonali ‘veri’
Tempo fa ho visto qualcuno che, pur di tentare di confutare il fatto che le nuove tecnologie portano all’isolamento nella vita reale in favore di un’immersione in quella ‘virtuale’, pubblicò una foto di inizio secolo scorso in cui si vedevano i passeggeri di un mezzo pubblico intenti a leggere il giornale piuttosto che a comunicare fra loro. L’idiozia di un confronto del genere viene alla luce semplicemente osservando ciò che accade al di fuori di un mezzo pubblico, dove i presenti sono in genere estranei, e in particolare in contesti dove la comunicazione interpersonale dovrebbe avere un ruolo preponderante, come quando per esempio ci si ritrova seduti davanti a un tavolo per un pasto o per un semplice caffè.
Per assurdo, nell’illusione di essere connessi con il mondo e in grado di comunicare con chiunque istantaneamente, si finisce per dimenticare chi è accanto a noi nel ‘mondo reale’, e si finisce per guadare un display e sorridere a un ‘like’ oppure a un messaggio o commento, invece di scambiare uno sguardo, un sorriso o qualche parola con chi sta condividendo il nostro ‘spazio reale’ di vita, in quel momento, che si tratti della famiglia, di amici o persino di un estraneo che sta facendo la fila alla cassa del supermercato assieme a noi. E non ho preso in considerazione i mille modi in cui Facebook e altri social media possono danneggiare o distruggere una relazione sulla base di un semplice ‘post’, di un commento o di un ‘like’, e soprattutto con le inevitabili incomprensioni e i fraintendimenti causati dall’assenza di una comunicazione personale ‘vera’ e dal filtro dell’interazione virtuale e indiretta.
Facebook è la morte della lingua e della cultura
Avere accesso alla tecnologia mobile e a Internet non significa automaticamente avere accesso alla cultura e al sapere, soprattutto se si predilige la superficialità e la banalità di un social network al soddisfacimento dalla sana curiosità culturale e al piacere di accrescere la propria conoscenza attraverso le informazioni ‘di valore’ che il Web mette a disposizione. Una domanda che mi sono spesso fatto alla fine delle mie giornate, quando ancora utilizzavo con frequenza i social network, era “Cosa mi è rimasto di quanto ho letto o visto oggi e quanto mi aiuterà a migliorare la mia vita?“. Quando cercavo di applicare la domanda al tempo trascorso sulle reti sociali, la risposta si traduceva, inevitabilmente, in un senso di delusione e frustrazione.
Questo allontanamento dalle forme di linguaggio e comunicazione ‘intelligenti’ si nota anche nel modo in cui Facebook e gli altri social network stanno progressivamente distruggendo la sana abitudine a utilizzare la posta elettronica (che già aveva annientato a sua volta la più ‘meditata’ posta tradizionale). Scrivere un messaggio e-mail, infatti, è un’attività che in qualche modo richiede riflessione e attenzione a quanto si sta digitando, uno sforzo che molti cercano di evitare usando i messaggi privati o limitandosi alla superficiale moda di sparare un semplice ma appariscente emoticon, o ‘taggare’ qualcuno per richiamare la sua attenzione verso un contenuto, evitando così uno sforzo comunicativo più intenso, nel quale la condivisione di un’informazione può essere accompagnata da un parere o da una semplice frase di commento a quanto segnalato.
Personalmente ho il massimo rispetto per chi non ha avuto la possibilità di accedere a un’istruzione adeguata, per motivi familiari, sociali o economici, e non mi permetterei mai di metterlo in ridicolo quando prova a esprimersi in un italiano tutt’altro che corretto. A rendersi ridicoli da soli, invece, ci pensano tutti quelli che comunicano sui social utilizzando lo stesso ‘gergo da sms’ utilizzato appunto nei messaggi di testo telefonici, oppure quelli che cercano di darsi un tono e imporre il proprio ego sparando a zero su qualsiasi cosa e cercando di sminuirla, ma finendo inevitabilmente con il dimostrare la propria ignoranza e maleducazione (due ‘mali’ che l’ambiente scolastico non sempre riesce a debellare).
L’altro aspetto deleterio di Facebook e di altri social network nei confronti della cultura e della conoscenza è il tempo che questi strumenti sottraggono ad attività ben più gratificanti e costruttive, ma del resto chi li utilizza in maniera smodata e ne cade vittima regalandogli tutta la propria attenzione e le proprie energie mentali non fa altro che perpetuare quanto probabilmente ha già fatto con i palinsesti televisivi da 24 ore e lo zapping selvaggio fra un canale e l’altro, in precedenza.
Facebook nuoce gravemente alla tua salute (mentale)
Ma i danni che Facebook e altri social media possono fare nella tua vita non sono limitati solo a quanto è stato descritto finora. Si tratta, infatti, di strumenti che hanno un effetto distruttivo vero e proprio sulla tua capacità di pensare, ragionare e interagire in maniera normale con l’ambiente che ti circonda e le persone che lo popolano.
Alcuni degli articoli che ho linkato nelle risorse finali, elencano questa serie di effetti prodotti dai social media sulla mente e sul comportamento delle persone:
– La formazione di ossessioni compulsive, come la spinta all’acquisto di oggetti inutili (con grande gioia dei marketer);
– l’alterazione degli stimoli ‘naturali’ dell’appetito, prodotta per esempio da immagini di cibo anche dopo un pasto;
– l’inibizione della capacità di giudizio e valutazione e dell’abilità di pensare in modo autonomo e oggettivo;
– la progressiva distruzione dell’auto-stima o, al contrario, la formazione di un eccessivo egocentrismo;
– l’ottundimento attraverso un flusso innaturale di stimoli sensoriali che si può notare dall’incapacità di rispondere a semplici quesiti di aritmetica dopo un’esposizione ai social media;
– la dipendenza prodotta dall’utilizzo dei social network, riscontrabile in varie forme ma soprattutto nell’incapacità di restarne lontani a lungo (proprio come nell’uso di droga, alcool o sigarette).
Potrei continuare ancora, ma se conoscete abbastanza l’inglese potete approfondire, questi e altri effetti deleteri che Facebook e gli altri social media stanno producendo sul vostro cervello. Personalmente, dopo l’ennesimo tentativo di utilizzare Facebook e gli altri network a scopo costruttivo o produttivo, ho deciso di allontanarmene e limitarmi, semplicemente, a una pubblicazione automatica dei contenuti che produrrò e pubblicherò su questo e altri siti e blog che gestisco, con una verifica periodica e una ‘pulizia’ di eventuali commenti inutili, sperando che il pubblico si renda conto di quanto sia ben più concreto ed efficace commentare un contenuto Web direttamente sul sito originale piuttosto che disperdere la propria opinione nel buco nero dei social media”. (Bonaventura Di Bello).
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