La Sardegna terra promessa del bambù? M5S: “Stop carbone. Vergognoso ricorso Regione”.
In questi ultimi mesi è cresciuta l’attenzione, anche da parte di Istituti universitari, verso una nuova coltivazione che si vuol diffondere in Sardegna, il bambù.
La Sardegna – si è chiesta l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus (Grig) – si sta apprestando, quindi, a diventare la terra promessa del bambù?
“In realtà – sostiene il Grig – si tratta di una tribù di piante spermatofite monocotiledoni appartenente alla famiglia delle Poacee (ex Graminaceae) e sottofamiglia Bambusoideae”. In parole povere, si tratta di parecchie specie diverse di piante tropicali, nessuna delle quali autoctona dell’Europa”.
Gli utilizzi del bambù possono essere vari: nell’edilizia, nel campo alimentare, nella cosmetica, nell’ambito dei filati, con un investimento pari a un minimo di 35 mila euro a ettaro. In Italia lavora da tempo il Consorzio Bambù Italia, mentre in Sardegna operano associazioni per la promozione della coltivazione del bambù gigante Onlymoso (Phyllostachys edulis) di origine cinese.
Nell’Isola sono stati anche promossi veri e propri viaggi di lavoro per illustrare le opportunità di investimento: “La coltivazione del bambù gigante garantisce un’elevata redditività: si stima che, in media, da un ettaro dedicato a questa coltura si possano ricavare dai 20 agli 80 mila euro all’anno, a fronte di una coltivazione che non richiede particolari cure. Una volta messe a dimora, difatti, le piantine di questa specie necessitano di acqua solo nei primi due, tre anni di vita. Possono raggiungere i 25 metri di altezza e sono garanzia di lunga vita, mentre la resa va da 1.000 a 5.000 culmi (canne) e da 5.000 a 10.000 chili di germogli. A dimora, 1200 piantine, diventano circa 15500 in 7 anni (3660 già al 3° anno)”.
“Sembrerebbe – sostiene l’associazione ambientalista – quasi oro verde. Ma non c’è nessuna controindicazione?”. Secondo il Grig, a parte il potenziale stravolgimento di vaste aree del paesaggio agrario sardo, il bambù è una pianta infestante.
“È un problema – afferma Giuseppe Brundu, botanico del dipartimento di agraria dell’università di Sassari, esperto in piante infestanti – estirpare il bambuseto perché, se anche tagli la parte aerea, nel terreno resta un fitto intreccio di apparati radicali, per alcune specie molto robusti, che continuano a riprodursi e che è difficile eliminare. Occorre capire se dietro i progetti che riguardano queste coltivazioni c’è una valutazione sul rischio, legata all’ambiente in cui sono introdotte e alle finalità”.
Forse potrebbe non bastare la realizzazione di “…uno scavo perimetrale attorno all’ettaro della coltivazione profondo 70 centimetri e largo almeno 50”, da dove estirpare i rizomi infestanti, così come consigliano i promotori. “Infatti, il bambù gicante è una pianta dura a morire. Un plus visto che non ha parassiti naturali e non ha bisogno di agrofarmaci, ma la sua resistenza la rende difficile da estirpare. I rizomi continuano a gettare polloni e tendono ad espandersi nei terreni vicini. Per contenere la crescita è bene scavare un fosso intorno al campo, bastano 60-80 centimetri. Ma se dopo qualche anno si decidesse di cambiare coltura bisognerà ingaggiare una dura lotta col bambù. I metodi per disfarsene sono tre. Primo, tagliare tutte le canne e i germogli ad ogni primavera finché i rizomi non muoiano. Due, tagliare le canne e distruggere i rizomi meccanicamente. Tre, utilizzare massicce quantità di disseccante”.
Ineludibile, poi – Ricoda ancora il Gruppo d’Intervento Giuridico – la necessità di grandi quantitativi d’acqua nei primi 3-4 anni di vita: 40-50 metri cubi per ettaro ogni mese, per buona parte dell’anno. Circa 4-500 metri cubi d’acqua per ettaro all’anno. Non poco .
In Sardegna sono stati realizzati i primi bambuseti, a Nule, Mamoiada e Sorgono, mentre altri ancora stanno per partire a Fordongianus, Castiadas e Tortolì. Sarebbe il caso che la Regione autonoma della Sardegna (assessorati della difesa dell’Ambiente e dell’Agricoltura, enti sperimentali e di gestione in campo agricolo) facesse le sue verifiche preventive e desse le sue indicazioni al settore agricolo, prima che capitino eventuali malaugurati pasticci.
Qualcuno – conclude l’associazione ambientalista – si ricorda che cosa è successo agli allevamenti di castorino, le ormai comuni nutrie? O no?
D’ora in avanti gli oristanesi dovranno abituarsi a chiamare “piazza due palme” la cosiddetta “piazza tre palme”. Una delle tre palme che da sempre hanno caratterizzato la piazza Martini è stata, infatti, abbattutta stamattina a causa del punteruolo rosso. La palma, a quanto sostengono dal Comune di Oristano, dovrebbe essere sostituita la prossima estate. Il condizionale è, infatti, quanto mai d’obbigo, visto che in Italia nulla è più duraturo del provvisorio. E Oristano non fa certo eccezione.
“Il ricorso al Tar della Regione Sardegna contro la decisione del Governo di chiudere nel 2025 le centrali a carbone è semplicemente vergognoso. Non solo perché la data contestata dalla giunta Pigliaru era già stata fissata dal Governo Gentiloni (ma allora nessuno nel centrosinistra sardo aveva avuto niente da ridire), ma perché così la Regione dimostra di non voler perseguire l’obiettivo della decarbonizzazione, altre volte ipocritamente sbandierato”. Lo ha ribadito il candidato alla presidenza della Regione del Movimento 5 Stelle, Francesco Desogus, alla presentazione, a Oristano, dei candidati pentastellati al consiglio regionale, Andrea Atzori, Barbara Cireddu, Barbara Daga, Giuseppe Senes, Alessandro Solinas, Maria Maddalena Spanu. “Non solo, la giunta Pigliaru è anche in malafede – attacca Desogus –, appena lo scorso 31 gennaio la Ep, proprietaria della centrale di Fiumesanto, ha infatti presentato pubblicamente un progetto di riconversione della centrale a carbone con un sistema a biomassa e gas. Siamo dunque al paradosso che i privati, che dovrebbero essere i primi ad essere danneggiati dalla decisione del governo, accettano invece la sfida del “phase out completo” dall’impiego del carbone per la produzione di energia termoelettrica, mentre il centrosinistra inscena una polemica senza senso, con il solo scopo di voler fare confusione. L’uscita dal carbone non determinerà, infatti, nessun rischio per le nostre imprese, perché l’energia sarà evidentemente fornita da altre fonti, compreso un nuovo cavo che collegherà la Sardegna alla Sicilia”. Per Desogus “…il ricorso dimostra che sul modello di sviluppo Pigliaru e il centrosinistra hanno una idea retrograda. Il Movimento 5 Stelle punta, invece, a fare della Sardegna la prima regione alimentata solo da fonti rinnovabili, con un uso del metano in una fase di transizione. Il ricorso della Regione è solo l’ennesimo atto che dimostra l’ambiguità del centrosinistra, che a parole difende l’ambiente, ma nei fatti prova prima a devastare le coste con una pessima legge urbanistica e poi a tenere aperte le centrali a carbone”.
“Cambiare stili di vita non salutari per la prevenzione della malattia neoplastica in provincia di Oristano”, è il titolo del convegno organizzato per venerdì 8 febbraio, alle 15, all’hotel Mistral 2 di Oristano, dalla sezione provinciale di Oristano della Lilt (Lega Italiana per la lotta contro i tumori) in collaborazione con Ats-Assl Oristano, Casa di Cura “Madonna del Rimedio”, Istituti superiori “Contini” e “De Castro” di Oristano. La Lilt oristanese, in partnership con quelle di Reggio Emilia, capofila dell’iniziativa, Bologna e Piacenza, hanno dato inizio a un progetto mirato a sperimentare come gli interventi di promozione della salute possano consentire la modifica degli stili di vita a rischio e prevenire le malattie neoplastiche. Il progetto è articolato in tre fasi: una prima fase di raccolta dati per rilevare quanto e come, attraverso abitudini e comportamenti scorretti, le persone intervistate fossero esposte al rischio di sviluppare un tumore; una seconda fase operativa (il cuore del progetto) finalizzata a modificare gli stili di vita scorretti, attraverso il counselling e l’alleanza tra volontari Lilt e operatori sanitari; una terza e ultima fase, mirata a sondare se e in che misura gli interventi sui soggetti a rischio abbiano funzionato. Dopo i saluti delle autorità e l’introduzione di Eralda Licheri presidente provinciale Lilt Oristano, prenderanno la parola Mario Alberto Floris e Elisabetta Cadoni, rispettivamente manager e coordinatrice infermieristica della Casa di Cura “Madonna del Rimedio”, che presenteranno i risultati emersi dall’indagine sugli stili di vita all’interno della clinica. Chiuderà la sessione il direttore sanitario della stessa struttura, Franco Meloni, con una relazione sulla promozione della salute tra gli operatori sanitari. A seguire, Paola Pinna, psicologa della Lilt di Oristano, illustrerà gli interventi di prevenzione in ambito scolastico; Pino Tilocca, dirigente scolastico dei Licei classico e artistico della città di Eleonora, parlerà di integrazione tra associazioni e scuola nella promozione della salute; Sabrina Vidili, psicologa Lilt, delineerà le prospettive future del progetto fra le classi degli istituti superiori. Infine sarà la volta del setting sanitario. Antonello Gallus, referente del servizio di Radiologia territoriale Assl Oristano e vicepresidente Lilt, presenterà gli interventi di prevenzione e promozione della salute che si sono innestati nei programmi di screening del colon retto, mentre Giuseppe Fadda, direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’area sociosanitaria oristanese, ripercorrerà l’esperienza dell’Assl di Oristano all’interno dei programmi Ccm (Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie) 2015. Tito Sedda, direttore del day hospital di Oncologia dell’ospedale San Martino di Oristano e direttore scientifico Lilt si soffermerà sull’importanza della modifica degli stili di vita per prevenire i tumori. La sintesi dei lavori sarà affidata alla psicologa Lilt, Federica Erca, con una riflessione tra le possibili integrazioni tra mondo dell’associazionismo e scuola, sanità, luoghi di lavoro.
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